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PRESENTAZIONE PER PUNTI DEL CORSO G 

- Questo sembra un discorso già fatto, una situazione già vissuta, ogni anno… eppure non è mai uguale, perché se la didattica è di un certo tipo la trasmissione del sapere avviene in due direzioni. È una relazione che ci cambia perché non sono solo i ragazzi che imparano da noi, ma anche noi che impariamo da loro: si cresce insieme...
- Questo è però possibile se si fa una scuola della partecipazione attiva, creativa, concretamente interattiva e solo scarsamente teorica.
tra l’altro vale la pena dire che dire ‘teoria’, nel bene o nel male, di per se non significa molto, è come questa teoria viene ‘incontrata’ nel processo d’apprendimento: proposta, imposta, riversata? oppure scoperta?
- Il corso G non è meno teorico degli altri, semplicemente è attivo il processo per acquisire sapere, un sapere quindi non scisso dal saper fare, un modo di imparare non scisso dal saper imparare, altra faccia di un costante imparare ad insegnare.
- È stato chiesto e detto che nel corso G si studi di meno, può essere sicuramente, ma non si lavora di meno, sicuramente si lavora di più insieme, a scuola. 
- Questo è il significato di una didattica per progetti e per laboratori più che per programmi: il percorso appartiene ai ragazzi perché sono parte attiva nell’individuazione degli obiettivi
- Processo comune è anche quello della valutazione, che rappresenta un momento di profonda comprensione di sè.
- Rispetto all’utilizzo della tecnologia si pone l’accento sulla multimedialità, cioè la valorizzazione di molteplici modalità espressive, in cui la creazione, la comprensione e la manifestazione delle idee e dei contenuti hanno come punto centrale, origine e fine, la persona.
- Così come lo sono anche i mezzi tradizionali, quali libri, spiegazioni, esperienze pratiche, i mezzi tecnologici sono strumentali ad una didattica delle competenze: il piacere della lettura, la scrittura, la comprensione logica della matematica e della grammatica, la curiosità suscitata dall’ambito scientifico, la capacità di scorgere e creare relazioni tra i contenuti
- È possibile, seppur non obbligatorio, avere e usare in classe un tablet, di qualsiasi marca e sistema operativo se già in possesso, mentre se di prossimo acquisto si consiglia vivamente l’ipad di apple per la vasta gamma di applicazione didattiche e per la formazione su piattaforma iOS di noi docenti.

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IL GIUOCO DELLE PERLE DI VETRO

     Affrontare il problema della valutazione degli studenti richiede un un cambio di prospettiva.

Il termine usato non è casuale, poiché  di problema si tratta, come sanno tutti gli insegnanti, ma come anche avvertono i ragazzi, manifestando malessere, paura e attenzione ossessiva per i propri voti, e i genitori che attendono e temono gli esiti delle verifiche con la calcolatrice in mano, pronti a contestare o a pietire fino a un quarto di punto. 

    Tale cambio di prospettiva non è avvenuto passando dai voti ai giudizi né,  poi, dai giudizi ai voti: sostanzialmente nulla è mutato.

    La valutazione così come intesa e applicata ora implica un giudizio di valore, uno sfondo moralistico e paternalistico penalizzante per l’autonomia e per lo sviluppo della personalità dello studente e inficiante la possibilità che l'apprendimento sia il fine reale e principale della vita scolastica.

    Il voto anziché essere l'indicatore del livello e dello spessore culturale dell'alunno e anziché, inoltre, esserne il simbolo, è invece l’unico scopo dello studente, il fine ultimo. 

    Anche i migliori e i maggiormente motivati sono stretti nella morsa di questa valutazione che sostanzialmente li giudica anziché misurarli, che li ha in suo potere anziché essere al loro servizio.

    Come già accennato anche i genitori sono imprigionati in questa logica con esiti molto stressanti e cruciali fraintendimenti sul significato reale e ultimo dell'istruzione dei loro figli.

    Il salto logico, l'accesso ad un livello qualitativamente superiore può forse avvenire rinunciando a quella linea tiranna e di imbarazzante squallore culturale che separa sufficienza da insufficienza.

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MOLTEPLICITÀ, COMPLESSITÀ E DIFFERENZA

La richiesta, ovvero attesa di rendimento, che la scuola pone ai propri alunni troppo spesso e sempre di più non trova una risposta adeguata, questo è un dato sotto gli occhi di tutti: numerose le bocciature, soprattutto alle superiori, spesso con l'esito di danni irrimediabili, consistente il disagio dei ragazzi e delle famiglie, come pure l’insoddisfazione degli insegnanti.

Si fa così strada l’ipotesi che ad essere sbagliata non sia la ‘risposta’, bensì proprio la ‘domanda’: rigida, uniformata e uniformante, costrittiva e coercitiva, sostanzialmente respingente e selettiva.

La soluzione offerta dalle sempre più frequenti certificazioni DSA, DVA e BES non risolve il problema qualitativamente, semplicemente lo attenua quantitativamente: percorsi differenziati, semplificati, facilitati, ridotti... senza che il parametro di riferimento sia messo in discussione. La ricerca della ‘risposta giusta’ non sembra portare lontano e la vita reale, oltre e al di fuori la scuola, lo conferma. 

Meglio forse sarebbe cercare ‘le’ domande giuste per la pluralità di risposte che la pluralità di alunni offre. Invece di percorsi paralleli e ridotti, progetti comuni in cui ruoli differenti concorrano nella realizzazione di prodotti che appartengano a tutti e che rappresentino ciascuno. 

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MULTIMEDIALITA' E COMUNICAZIONE


Che cosa significa multimediale?
Significa che un contenuto viene espresso utilizzando contemporaneamente più modalità: verbale, visiva, sonora, ecc.
Ma non basta, non si tratta soltanto della somma di più mezzi, anche il 'misto' in sé è un mezzo tra i mezzi, ovvero la somma è a sua volta elemento, il tutto è anche parte.
In una società in cui la velocità gioca un ruolo determinante, comunicare significa riuscire a trattenere il destinatario del messaggio abbastanza da convincerlo a riceverlo.
Si tratta di un gatto che si mangia la coda, l'escalation degli effetti speciali diventa inarrestabile e spesso la forma supera di gran lunga la sostanza, ma si tratta di un rischio ineliminabile e tutto sommato anche di una bella sfida.
Ciò premesso l'insegnamento dell'italiano, soprattutto alla scuola secondaria di primo grado, dev'essere principalmente centrato sulla comunicazione e sui suoi contenuti.
Che cosa significa?
Significa che i contenuti vanno creati e non comunicati, o, per meglio dire, socraticamente provocati.
Due tappe, dunque, insegnare a pensare, insegnare a comunicare il proprio pensiero.
Alla primaria molta energia si spende per fornire strumenti di base, come insegnare a leggere e a scrivere, alle superiori le competenze specifiche rivestono un ruolo maggiore, ma alle medie va cercata e trovata la personalità del discente, gli va insegnato a conoscere se stesso! Legare imprescindibilmente comunicazione e multimedialità significa fare una scelta pluri- disciplinare: è banalmente ovvio, se si comunica in tanti modi si coinvolgono tanti ambiti... Ma la condizione di questo è decisamente meno banale: affermare che la divisione fra discipline è convenzionale e fuorviante. Si pensi alla domanda originaria di cui Husserl parla ne La crisi delle scienze europee e alla meraviglia di Aristotele come origine della filosofia.
Da qui la comprensione che il concetto di pluri- e di multi- va ribaltato: non è tanto il sapere ad essere trasversale o i mezzi di comunicazione ad essere più di uno: è il bambino, l'alunno, l'uomo a essere complesso, non univoco, non settoriale, non semplice.
Ne deriva che la moderna e tecnologica multimedialità è in realtà istinto, natura, origine. Stesso fondamento regge le grammatiche strutturaliste e generative: il pensiero si muove da realtà e assunti complessi e li scompone in elementi via via più semplici attraverso un'azione intellettuale, logica, culturale, non istintiva, non immediata.
Pertanto lo studio scolastico della grammatica dovrebbe partire dall'analisi della frase complessa, scendere a quella della frase semplice e solo infine giungere all'analisi grammaticale (e magari farne a meno!).
Un altro equivoco didattico, seppur espressione della migliore volontà, è questo: l'interesse dei ragazzi va catturato, va suscitato, va conservato... così imparano, ricordano, ascoltano... Retorico e buonista.
E' vero il contrario: sono i ragazzi che devono catturare il nostro interesse, suscitarlo, conservarlo... così il livello dell'insegnamento sale, li conosciamo, li ascoltiamo e, soprattutto, rispondiamo loro.
E allora gli va insegnato a comunicare e a comunicare cose interessanti, cioè se stessi, con dignità, con orgoglio, con aggressività.
Queste le basi su cui costruire cultura e futuro.
Le nozioni verranno.

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SCUOLA E COMPUTER

Riflessioni sulla proposta-possibilità di digitalizzare la didattica, sia nei mezzi sia, soprattutto, nei contenuti nella scuola di oggi
Per noi insegnanti la domanda preliminare di fronte ad ogni attività proposta, specie se innovativa, è quale senso abbia dal punto di vista didattico-formativo (non voglio usare il termine ‘educativo’ per non sconfinare nella sfera morale, anche se la tentazione è forte e i limiti spesso assai labili). Le riflessioni seguenti, schematicamente organizzate in un elenco (forse una reazione alla fluida dinamicità del problema affrontato), tentano di rispondere ad una domanda che certo non nasce dalla diffusione, recente e recentissima, della tecnologia nell’attuale società.


1. La presenza del computer a scuola, l’uso abituale di esso all’interno di alcune discipline (anche senza arrivare a parlare di certificazioni) non è affatto a- problematica, né assimilata, né scontata: i genitori esprimono un’enorme diffidenza, soprattutto nei confronti di internet, spesso avversano la possibilità che docenti e allievi comunichino via mail e che materiali didattici vengano messi a disposizione in formato digitale, pur possedendo e utilizzando abitualmente il computer. Inoltre associano istintivamente l’uso del computer ad una dimensione ‘ludica’ ovvero poco formativa/istruttiva.
I motivi di ciò sono essenzialmente due, il primo banale e ricorrente in ogni tempo e situazione: diffidenza verso il nuovo, fiducia/rimpianto della tradizione; il secondo invece molto più importante e significativo: la convinzione che imparare non sia (non debba esssere) un processo divertente e appassionante, ma un dovere e una fatica (è il ‘sudore’ che garantisce la qualità dei contenuti proposti, non la capacità di interessare).
Il fatto che i ragazzi ‘amino’ il computer (“ci stanno appiccicati tutto il giorno, a casa non fanno altro...!”) è il motivo della generalizzata ostilità degli adulti. A ciò si aggiunge il ‘timore’ che la scuola (dirigenti e docenti) ha dei genitori! Ovvero l’obiettivo prioritario di ‘evitar grane’. E, non ultimo, l’incompetenza tecnica dei docenti
D’altro canto va sottolineato il fatto che la possibilità di ottenere una certificazione fa gola a tutti, genitori e dirigenti.


2. Altro spunto interessante consiste nel tentare di chiarire un equivoco assai frequente: si sta parlando di ‘insegnare il computer’ o di ‘insegnare con il computer’? Fintanto che non si sia superato questo salto logico assurdo (come se si imparasse ad andare in bicicletta su una cyclette e solo successivamente si scendesse in cortile...) la scuola sarà inadeguata a preparare i ragazzi alla realtà. Perché questo possa realizzarsi il lavoro principale sarebbe da fare sui docenti.


3. Pur trovandoci in un momento di passaggio e appartenendo, noi adulti, a generazioni testimoni di una transizione epocale (posso citare la tv in bianco e nero e senza telecomando della mia infanzia, pur affermando l’esiguità dei miei 45 anni!), è innegabile che ai giovanissimi, cui mancano i termini di confronto, il computer piace molto e in modo irriflesso, tale evidenza porta all’errata convinzione che, tolti i professionisti del campo, la tecnologia sia ‘roba loro’, dei cosiddetti ‘nativi digitali’ (espressione che trovo odiosa e fuorviante).
Non credo sia così: il futuro dei ragazzi è una nostra responsabilità ed è proprio l’essere testimoni del cambiamento (qualsiasi cambiamento) che ci dà la possibilità di insegnare.
Confondere la rapidità e l’istintualità del loro rapporto con la macchina con padronanza e competenza è un errore grossolano, mentre l’astuzia di sfruttare questa loro passione può rivelarsi una efficace strategia didattica (insomma: dobbiamo portarglielo via, per restituirglielo su un piano più alto!).


4. Un altro luogo comune da stroncare per sperare nel salto di qualità (scolasticamente parlando) è quello del ‘mezzo’: “il computer è solo un mezzo, ci aiuta a fare le cose più in fretta, facilmente e meglio, e come tale va considerato e usato”.
E’ una visione limitante e superficiale perché lo strumento modifica anche il tipo di prodotto e non solo i tempi e i modi di esecuzione, dando vita a qualcosa di diverso, mettendo in atto un processo di ‘creazione’ vera e propria, cioè provocando e permettendo una ‘creazione-creativa’.
Mi spiego con un esempio: quando per scrivere era necessario incidere la pietra, o si disponeva unicamente di papiri, pergamene, penne d’oca e via dicendo le cose che venivano messe ‘nero su bianco’ erano altre da ora, le scelte erano più selettive e la riflessione preliminare ben più ponderata... questo però non è da interpretarsi come un calo di qualità, ma va riconosciuto come una risorsa preziosa, l’invito a una trasformazione ricca di potenzialità culturali e ideali, oltre che tecnologiche (un paragone calzante è l’invenzione della stampa cui seguono esiti a tal punto rivoluzionari da modificare l’ordinamento religioso e politico della società d’allora, si pensi solo alla traduzione della Bibbia in tedesco di Lutero e la sua diffusione a mezzo stampa!).


5. Ma il nucleo vivo del problema è la virtualità comunemente associata all’informatica e moralmente avversata da genitori e insegnanti: vita reale, rapporti reali, scambi reali... contrapposti a chat, videogiochi, forum, blog, ecc.
Una riflessione appassionata su questo tema mi ha rivelato un aspetto importante della mia didattica: la realtà virtuale (a pieno titolo contrapposta e parallela alla realtà reale) lungi dall’essere un rischio della moderna tecnologia, rappresenta da sempre l’esito necessario della capacità astrattiva propria dell’essere umano.
Ci si allontana di un grado dalla realtà fisica e concreta (pur senza perderla mai del tutto), e si avanza di un passo nella direzione dell’astratto in ciascuno di
questi passaggi: cose/parole/pensieri; oggetto o situazione rappresentata/espressione artistica (pittura, scultura, teatro, letteratura), rapporto in presenza/corrispondenza epistolare/conversazione telefonica/...sms!
Non credo serva proseguire, mentre siamo costretti a fare una scelta fra Platone che bandiva dalla sua Repubblica gli artisti perché produttori di copie delle copie... e Aristotele che valorizzava l’affetto catartico dell’arte perché mezzo di riequilibrio interiore, in sostanza sosteneva e lodava il ‘vivere-per-finta’, ossia virtualmente, emozioni, passioni, sentimenti.


6. Credo però che si possa, insegnando, fare un passo ulteriore: liberare il potenziale utopico proprio della virtualità, affermare attraverso di essa la realtà come vorremmo che fosse, farne un gesto ideale-ideologico, una presa di posizione, un mezzo potente dell’espressione della propria opinione. E credo che questo sia ciò di cui i ragazzi hanno bisogno oggi.


7. Concludo esprimendo la convinzione che l’informatica come disciplina in sé, così come l’utilizzo del computer finalizzato a diversi insegnamenti, non deve ridursi ad un repertorio di ‘giochetti’ volti ad alleviare gli alunni dalla noia dell’imparare, paragonabile al passaggio dai libri di testo senza figure agli attuali, talmente congestionati da risultare spesso illeggibili, o all’abbandono dell’uso tradizionale dei quaderni (in cui si scriveva!) a favore di una tale ondata di ‘schede’ illegalmente fotocopiate e incollate (a rilevante vantaggio dei produttori di stick adesivi e a detrimento dello sforzo ecologico volto a limitare ogni spreco).
L’informatica nella scuola deve fornire una spinta inarrestabile verso l’interdisciplinarità, alla riconquista di quella domanda originaria che Aristotele faceva scaturire dalla meraviglia e che Husserl identificava come unica via per uscire dalla crisi delle scienze europee.
La realizzazione di sé o l’alienazione (estraniazione da sé) sono le conseguenze alternative della specializzazione e della settorializzazione alle quali l’adulto è professionalmente destinato.
Solo l’esperienza, in età scolare, di agire e di pensare, criticamente e creativamente, senza il vincolo ottuso di classificazioni poco più che convenzionali fornisce quella visione d’insieme (a scapito di uno sterile nozionismo) che rende possibile la realizzazione della prima alternativa.
Io credo che, al punto in cui siamo, l’esercizio della multimedialità informatica, accanto alla conservazione di pratiche manuali naturali nel bambino e incoraggiate dapprincipio, ma drasticamente limitate nel passaggio dalla scuola primaria alla secondaria, rappresentino una valida possibilità per la scuola di sostituire i valori e i metodi tradizionali, ancora vivi e vitali in sistemi scolastici di altri paesi (discutibili, ma a loro modo efficaci) e da noi irrimediabilmente tramontati con un’alternativa valida e reale.
 

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IL CORSO G

corso tecnologico-multimediale


Si caratterizza per l’impostazione laboratoriale della propria didattica, connotazione che interessa trasversalmente tutte le discipline.
L’idea da cui tale scelta trae origine è la convinzione che - nell’era della virtualità - rinunciare alla concretezza reale delle esperienze dirette, può portare ad un esito sterile delle competenze tecnologiche che i giovanissimi devono necessariamente acquisire. L’unione creativa di ‘materia’ e ‘forma’, di teoria e pratica, offre l’accesso ad un sapere critico e consapevole. L’obiettivo centrale è ridurre la distinzione, nominale e limitante, fra discipline, per ri-scoprire la sinergia fra la sfera umanistica e quella tecnologico-scientifica, accompagnando i ragazzi lungo un percorso di apprendimento ‘agito’, simile alla realtà ch’essi incontreranno al di fuori della scuola.
L’aspetto maggiormente significativo di questo indirizzo è la trasversalità e l’interdisciplinarietà definite e contenute dal circolo virtuoso: fare, sapere, saper fare.
I ragazzi, nell’arco dell’intero triennio, partecipano (inter)attivamente a laboratori di: scienze e storia, scrittura creativa, grammatica, logica, informatica, fotografia e cinema, arte, lingua straniera, ecc. Queste esperienze si svolgono all’interno delle ore curricolari, pertanto ogni percorso didattico nel suo complesso ne risulterà caratterizzato e arricchito.
I risultati di tali attività saranno l’oggetto di presentazioni su supporto digitale e/o cartaceo.

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UN PO’ DI SANA FILOSOFIA... o... di storia... oppure... di letteratura... ...difficile dividere quello che è nato intero


Se il bisnonno del Nostro Pensiero è senz’altro Aristotele, e se sul papà è meglio non pronunciarci perché in molti potrebbero rimanere male, senza tema d’errore possiamo affermare che HEGEL ne sia il nonno.
Hegel raccontava delle storie molto belle, e poi faceva anche dei giochetti, per esempio diceva:


tesi: mela antitesi: pera sintesi: macedonia!


o ancora:


tesi: tagliatelle; antitesi: cinghiale arrosto; sintesi tagliatelle al ragù di cinghiale!


Questo gioco, che lui chiamava “dialettica” ci è piaciuto e abbiamo provato anche noi:


tesi: io; antitesi: tu; sintesi: noi!


oppure:


tesi: io; antitesi: altri; sintesi: gruppo!


Ecco, questo è l’esempio che ci è piaciuto di più e pertanto abbiamo deciso di lavorarci sopra durante tutto l’anno, anzi a partire già dalle vacanze estive.
Da domenica 8 giugno a Natale ciascuno di noi ha scritto su di un foglietto un pensiero che riassumesse la settimana trascorsa, con l’idea di contruire una specie di Diario che trasformasse i nostri fatti personali in un’esperienza comune: il singolo porta ricchezza al gruppo e il gruppo arricchisce il singolo, questo è l’amicizia!


La prima cosa da prendere in considerazione però è che nella vita non ci sono soltanto i nonni e i bisnonni: mai sottovalutare i prozii!
Chi poteva immaginare che Hobbes fosse un’importante prozio del Nostro Pensiero: l’Idea su cui ci ha fatto riflettere è che il gruppo per funzionare bene non deve schiacciare il singolo, bensì rispettarlo e valorizzarlo.


Hobbes, la cui mamma lo aveva partorito prematuramente a causa di un grande spavento, cosicché egli amava definirsi ‘figlio della paura’, faceva sempre questo strano sogno: una specie di mostro dalle sembianze umane, di enormi dimensioni, formato da una miriade di piccoli uomini.
A questa creatura diede il nome del mostro biblico Leviatano e disse che simboleggiava lo Stato, potente e crudele, ma forte abbastanza da difendere e preservare ciascun cittadino.
Così nacque l’idea di dare ad ogni pagina del nostro diario la forma di un mostro inventato e disegnato da noi, che fosse uno, ma che contenesse tutti i nostri messaggi.
Anche Hobbes avrebbe riso al vederli, perché i nostri sono mostri simpatici e non cattivi, infatti è chiaro che la paura non può essere la base dell’amicizia!


Da gennaio in poi ci siamo stufati, avevamo già l’aula piena di creature strane e bisognava per forza trovare un’altra idea...
Prima di raccontarla però è doverosa una precisazione sugli zii: spesso sono assai puntigliosi e se per errore si dovesse chiamare zio un vecchio amico di famiglia se la legherebbero al dito per chissà quanto tempo! Pertanto, posto fuori di dubbio che Freud è uno zio del tutto autentico del Nostro Pensiero, non si può certo negare che Jung ne sia un carissimo vecchio amico.
Jung aveva in casa una grande scatola, una specie di vecchio baule. Dentro vi teneva i personaggi e i pezzi di un bellissimo teatrino. Quando Jung invitava qualcuno a casa sua, sempre gli mostrava il contenuto del baule: il re, la regina, la mamma, il papà, la strega, la fata, il cacciatore, il leone, il mago... e poi i fondali e le scene: la notte, l’acqua, la terra, il castello, il fuoco...
... ma, tutti sempre rispondevano di conoscerli già. Tutti, ma proprio tutti, anche i bambini piccoli che a teatro non erano mai andati!
Jung, dapprima stupito, riuscì finalmente a capire il perché: tutte quelle immagini esistevano nelle storie degli uomini da tempi antichissimi ed erano perciò penetrate così profondamente nella mente e nel cuore degli uomini da venire trasmesse di generazione in generazione soltanto per il fatto di... nascere!


Questo sì che sembrava un nuovo gioco veramente speciale!
Abbiamo disegnato su di un grande cartellone una specie di tabellina, sul lato di destra, verticalmente, abbiamo scritto i nostri nomi, in alto, orizzontalmente, l’elenco di quello che era contenuto nel famoso baule e l’abbiamo chiamata ‘la tavola del pensiero’. Ed ecco come funziona il gioco: ogni settimana scriviamo una riflessione accanto al nostro nome ispirato all’immagine che fa da titolo a quella striscia, così che quando la tabella sarà completa potremo leggerla in due modi: orizzontalmente ogni riga conterrà tutti i pensieri di ciascuno di noi preso singolarmente, verticalmente ogni striscia sarà come il coro delle nostre voci su ogni immagine.


Infine è accaduta una cosa bellissima: siamo andati tre giorni in gita in Francia: tutti insieme. Per la prima volta si preannunciava un’esperienza che noi, come gruppo, avremmo vissuto insieme, lontano da casa, dalla famiglia e dalle abitudini di sempre; questa volta non si trattava né di scrivere, né di raccontare, ma di fare, di vivere davvero.
La gita è stata un trionfo e così si è concluso il nostro lavoro sulla dialettica individuo/gruppo: abbiamo fatto un tema raccontando quei tre giorni e poi ci siamo sbellicati dalle risa a leggerli in classe, ascoltando come quella esperienza comune sia germogliata in tante diverse, buffe, versioni!

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TUTTO FA BRODO 

introduzione a un laboratorio interdisciplinare 

(l'elaborato completo si trova, scaricabile, alla pagina 'laboratori corso g' anno 2011-12

Carissimi Lettori,
Prima di lasciarvi al rischio di sperimentare le preparazioni ideate dai vostri figli desidero raccontare l’origine del progetto.
Questo libro di ricette, creato integralmente dai ragazzi della Seconda G, durante un laboratorio svolto in parte in classe e in parte a casa (e di questo vi ringrazio) nasce da un caso, da un evento fortuito, non proprio positivo...
Durante una lezione di italiano sulla poesia ‘A Zacinto’ del Foscolo, invero non proprio di immediato interesse per dei dodicenni, seppur bellissima, giunti al verso ‘...del greco mar, da cui vergine nacque Venere...’ la classe, fino ad allora sopita, prese vita con risolini e ammiccamenti. Niente di meglio per mantenere l’attenzione che associare il termine ‘vergine’, causa dell’agitazione, con un’immagine che, dato il contesto emotivo nel quale veniva inserita, sarebbe rimasta per sempre dentro di loro: la splendida Venere del Botticelli!
Utilizzando la lim abbiamo cercato il dipinto.
Resa particolarmente interessante dalla nudità, la bellezza e l’armonia di quest’opera ha raggiunto la sensibilità dei ragazzi.
Incidente chiuso con soddisfazione di tutti, grandi e piccini...
Passano forse una o due settimane, quando il Prof di arte propone ai ragazzi lo stesso capolavoro: ne vengo casualmente a conoscenza, nei giorni successivi, leggendo il registro.
Animata da sorpreso entusiasmo chiedo ai ragazzi se avessero raccontato al Prof di averlo già visto e le circostanze in cui ciò era accaduto... nulla!
Anzi, per dir la triste verità, nulla di nulla, perché neppure a me avevano detto di essere tornati sulla Venere, né di doverla riprodurre a mano libera...!
Lo sguardo perplesso e (confesso) deluso, posato sulla classe, mi restituisce una schiera di scatoloni da imballaggio, in cui vengono rovesciate informazioni su informazioni, accatastate a caso, rese sbiadite da un velo di noia, come polvere, tra cui rintracciare, faticosamente, di volta in volta, l’elemento richiesto per un’interrogazione o una verifica, motivati i più dalla paura, molti dalla speranza in un buon voto, alcuni da un sobrio senso del dovere, da autentico interesse pochi e, nella fattispecie, nessuno!
Quando invece, rovesciando alla luce quella scatola si potrebbero con quanto vi sta dentro nascosto costruire, come con mattoncini scintillanti, personalità critiche, intellettualmente vivaci, culturalmente nutrite...
Ipotesi troppo ambiziosa per uno sforzo che richiede una cinquantina di ore settimanali tra scuola e studio? Non credo.
“La vita vera, ragazzi, non ammette questa passività, questa mancanza totale di auto-promozione, dovete impadronirvi di quello che imparate, farlo diventare parte di voi! Tutto quanto vi viene dato può trasformarsi in uno strumento capace di rendervi persone migliori, e soprattutto più felici!” Trasecolavo.
“Fuori di qui nessuno vi aspetta per darvi un voto, nessuno vi assegnerà una lezione di cui rendere conto in una verifica, nessuno perderà un minuto ad interrogarvi, se il dimostrare quello che siete e che valete non parte da voi sarà difficile costruire la vita che vorreste!”
Nasce così, auspicando nel magico potere delle metafore, l’idea di un progetto cui abbiamo dato il titolo Tutto fa brodo, ma che utilizzando una definizione alla moda potremmo definire ‘attività di problem solving’.
Il tema è quello di trasformare lo scatolone in versatile serbatoio di strumenti polivalenti.
Traduzione: la Venere del Botticelli, anziché starsene buttata nel cartone polveroso, avrebbe potuto sfruttare, col minimo sforzo, un’ottima figura col Prof di arte, e, allo stesso prezzo, un’ottima figura con me; ovvero, il dato diventare strumento, la nozione competenza.
Per tornare alle frasi fatte: dal sapere al saper fare, utilizzare per essere, scoprire il volto creativo della conoscenza, unica via, oggi, per avanzare nel mondo reale.
Il compito: che cos’è il meglio che possiamo fare con le risorse che abbiamo a disposizione...
Fase n°1: fare l’elenco di quanto è contenuto nel frigorifero di casa e nella dispensa il giorno precedente la spesa, descrivere una ricetta realizzabile con quei soli ingredienti partendo dal fondo: a) procedimento (studio di fattibilità), b) nome (in base a quello che è saltato fuori), c) lista e dosaggi degli ingredienti (razionalizzazione delle risorse disponibili)
Fase n° 2: proporre una ricetta per sei persone, avendo a disposizione 20 € virtuali con cui fare un’altrettanto virtuale spesa sul sito di un supermercato. Con quello che eventualmente avanza comprare le bibite e il dolce.
Fase n° 3: inventare una ricetta (o reinterpretarne una conosciuta) a scelta fra un antipasto, un primo, un secondo e un dolce
Con soddisfazione ho visto la classe molto partecipe e divertita, sarebbe bello poter realizzare ognuna di queste ricette tutti insieme, magari per festeggiare la fine dell’anno!
Grazie a tutti e buon appetito.
Sara Saccomani e i ragazzi del corso G

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GIOCHIAMO A SCUOLA PER IMPARARE INSIEME
accogliere la dimensione del pensiero laterale per ripensare la didattica permette di coniugare intelligenza emotiva e intelligenza razionale.

Obiettivi

Identificare gli obiettivi significa tracciare un programma con una forte componente ideale-ideologica, suddividere tali obiettivi tra docenti e alunni, tra adulti e bambini dunque, comporta inoltre un'importante dimensione di autocritica e un forte coinvolgimento affettivo, ovvero accettare il peso e il ruolo della capacità di immedesimarsi nei propri allievi vedendo in loro ciò che loro non sanno di sé per permettergli di diventarlo.
Da questa premessa nasce una sorta di schema umano, con un centro, condizione di possibilità, e dei raggi, esiti generati con la vocazione del futuro.

Da parte dell'adulto l'unico obiettivo, che tutti li racchiude, è saper accettare la dimensione della RELATIVITÀ, trasmettendo il senso della COMPLESSITÀ della realtà.
Ciò significa l'abbandono di ogni maschera moralistica nella relazione che costituisce l'insegnamento, e ancor più l'abbandono di una scala di valori propria, dove la pretesa di una gerarchia delle finalità nasconde un bisogno di conferme e garanzie.
È ormai prassi usuale, almeno in teoria, almeno a parole, valorizzare le differenze e valorizzare ciascuno per le sue capacità, possibilità, peculiarità. Questo non impedisce però di mantenere fortemente la convinzione che diversificate siano per livelli le prestazione, per cui esistono capacità di serie A e capacità di serie B, o C, da qui una visione elitaria e univoca dell'apprendimento.
Conseguenza di questo sono le 'prestazioni parallele': tutti fanno lo stesso lavoro, tema, problema, esercizio; a qualcuno vengono concessi degli 'sconti', delle riduzioni e/o delle facilitazioni con esito discriminatorio e modalità poco coinvolgenti e poco stimolanti, del tutto assente la dimensione del lavoro di gruppo e dello sfruttamento delle sinergie che da questo derivano.
Cambiare questa modalità di lavorare non permette soltanto ai ragazzi di imparare meglio, ma costringe anche l'insegnante a imparare qualcosa.

Relatività e complessità significano anche accettazione, disponibilità, apertura, lateralità e questo rende possibile da parte del 'piccolo', l'alunno, che si riflette nel 'grande', l'insegnante, riconoscendosi per quello che probabilmente ancora non è, il raggiungimento di competenze e di obiettivi, se non tradizionalmente scolastici, fondamentali per la formazione della persona, dell'adulto futuro, dove competenza significa strumento, risorsa, e obiettivo risultato, esito.

Ci piacerebbe che fossero:

creatività: espressione originale di sé, autonomia nella scelta del modo.
senso d'appartenenza: autonomia e originalità si esprimono nel gruppo come elementi di complementarietà generando un senso di appartenenza profondo, proprio in virtù della diversificazione.
autostima: assenza di confronto su prove e livelli standard significa valorizzazione di ogni peculiarità così che si crei lo spazio per una soddisfazione di sé che non sia l'esito della risposta ad un sistema di aspettative omologate e omologanti.
autocoscienza: riconoscimento di sé attraverso l'esperienza dell'essere riconosciuti.

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SE LA TERRA
FOSSE PIATTA COME UNA MEDAGLIA AVREBBE DUE FACCE...

 

premessa


Dall’osservazione, anche superficiale, di ogni forma di vita animale, dai grandi mammiferi agli organismi mono-cellulari, è evidente che l’attività biologica è prevalentemente regolata dalla necessità di procurasi il cibo: esso è causa ed effetto di ogni comportamento animale, cui si affianca, come elemento complementare, la riproduzione.
Il ciclo della vita coincide, in natura, con il ciclo alimentare, l’attività riproduttiva lo perpetua.
Non fa eccezione a questa regola l’uomo, benché la finalità nutrizionale, almeno per quanto riguarda il ‘primo mondo’ è meno evidente.
I molteplici bisogni, siano essi primari, sovrastrutturali o indotti non sono che la metafora dell’originaria necessità di procurarsi e assicurarsi di che nutrirsi.
Quando il cibo non compare come bisogno prioritario è perché si tratta di un bisogno appagato: il cibo è qualcosa che si impone all’attenzione e alla coscienza per la sua assenza o carenza, non per la sua presenza o abbondanza.
L’uomo dunque non si discosta in questo dalle altre forme di vita: condividere lo stato ‘animale’ significa essenzialmente condividere la perpetua ricerca di cibo.
E’ dunque possibile interpretare la Storia come storia dei molteplici modi, aggressivi o pacifici, distruttivi o ingegnosi, in cui si sia cercato di risolvere il problema del sostentamento.
Parlare di ciclo vitale significa, imprescindibilmente, parlare di territorio. Il territorio è la pre-condizione di qualsiasi forma di vita, nonché lo spazio di ogni attività animale.
Il rapporto dell’uomo con il territorio è essenzialmente dialettico e può definirsi attraverso le seguenti coppie antitetiche: utilizzo/sfruttamento; rispetto/degrado; appartenenza/contrapposizione.
E’ la ‘problematicità’ del rapporto dell’uomo col territorio che lo differenzia dagli altri animali; all’origine della ‘cultura’ sta il conflitto dovuto all’assenza di uno scambio con l’ambiente circostante regolato da una modalità univoca e necessaria.
La gestione dello spazio è la chiave per comprendere l’essenza di ogni civiltà, il carattere delle società, la causa prima e il fine ultimo di molti eventi storici.
Data questa impostazione è possibile immaginare un percorso, dalla preistoria ai giorni nostri, attraverso l’individuazione di una serie di nodi antinomici: le due facce della medaglia.


Tappe teoriche


paleolitico, neolitico
- vita nomade/vita stanziale
- raccolta e caccia/agricoltura e allevamento
- proteine/carboidrati
- grandi spazi/spazi circoscritti
- libertà/lavoro
- rischio/fatica
- poca acqua/tanta acqua
- controllo delle nascite/incremento delle nascite
- matriarcato/patriarcato


antiche civiltà, greci e romani
- produzione/conservazione cibo
- conservazione/controllo cibo
- controllo cibo/potere
- incremento rese agricole/divisione del lavoro
- divisione del lavoro/origine classi sociali
- baratto/denaro
- campagne/città
- madre patria/colonie
- servitù della gleba/espansionismo


medioevo e età moderna
- foresta/pascolo
- pascolo/coltivo
- spazi comuni/spazi recintati
- attività contadina/leva militare
- terra coltivata/rotte marittime


età contemporanea
- campagna/città
- terzo mondo produttore/primo mondo consumatore
- agricoltura di sussistenza/colture intensive
- allevamento brado o semi-brado/stabulazione
- cicli naturali/cicli spinti
- biodiversità/monocolture
- selezione genetica/estinzione specie
- alte rese/eco sostenibilità
- cereali ad uso alimentare/biocarburanti


Laboratori perché
Tradurre in pratica una riflessione teorica presenta molteplici scopi:


- imparare giocando
- conferireconcretezzaanozionialtrimentidestinatea‘impallidire’  -verificaredipersonagliesitianticipatidurantelafaseteorica
- appropriarsi del processo


Progetto orto
L’orto a scuola non è una novità, ma quello che si vuole realizzare non è un orto qualsiasi, bensì la simulazione in piccolo di alcuni dei diversi sistemi agricoli che si sono avvicendati nella storia.
Tante sono le possibilità (di seguito alcuni esempi) il nucleo della proposta però consiste nello spartirsi fra scuole le diverse tipologie, così da lavorare davvero in parallelo confrontando le fasi e gli esiti.


Tipologie
1. rotazione biennale con maggese: serve un ‘campo’ ampio il doppio di quanto si vuole coltivare
2. rotazione triennale con maggese: serve un campo solo mezza volta più ampio di quanto si vuole coltivare, con semina sia in autunno, sia in primavera.
3. rotazione triennale con leguminose: la scoperta che i legumi fissano
l’azoto nel terreno ha permesso di abbandonare la pratica del maggese.
4. rotazione quadriennale con alternanza tipologica (legumi, foglia, tubero frutto,) invece che stagionale, ad esempio: fave, radicchi, patate,
zucchine.
5. con concimi chimici e antiparassitari.
6. con sementi F1.


Riflessioni pratiche
Allo scopo di penetrare appieno la filosofia di questo lavoro è necessario valutarne gli esiti operando un ribaltamento storico che ignora la fungibilità del denaro: tornando dalla moneta alla fisicità della materia prima. Ovvero le unità di misura utilizzate saranno la porzione-alimentare e il tempo-lavoro, ad esempio: semino 2 porzioni di fave e raccolgo 40 porzioni di fave; lascio andare in seme 4 porzioni di zucchine, semino 50 piante di cui solo 25 nascono e da cui ottengo 250 porzioni di zucchine, ecc.
Gli elementi da valutare sono: i tempi necessari al ciclo colturale e il tempo-lavoro; gli imprevisti climatici; la necessità d’acqua; la resa con o senza concimi chimici; i parassiti o l’impatto ambientale e sulla persona dell’eventuale uso di antiparassitari chimici; ecc


Possibili attività correlate
Due le principali attività correlate:
1. l’allevamento a latere di qualche animale da cortile (polli, conigli, ecc) da nutrirsi con i prodotti dell’orto.
2. la conservazione degli alimenti (salamoia, essicazione, ecc)


Conclusione
La società urbana contemporanea ha dimenticato il legame con la terra, l’agricoltura appare sempre più un’industria tra le altre, i prodotti agricoli arrivano al destinatario finale avendo perso ogni traccia della loro provenienza: lavati, imbustati, omogenei per forma e dimensioni, di solito resi tossici dall’uso spinto di anti-parassitari e anti- germinanti (14 trattamenti sulle mele dalla raccolta alla tavola, patate che marciscono senza germinare, solo per fare due esempi), scarsamente saporiti e indipendenti dalla stagione in corso.
Anche in questo caso abbiamo due facce della medaglia: i ragazzi di città non hanno nessuna consapevolezza del legame profondo e ineliminabile che ciascun essere vivente ha con la (madre)terra, unica possibile fonte di cibo; i ragazzi di campagna investono ogni loro energia per fuggire da una realtà rurale socialmente svalorizzata e svalorizzante, il più delle volte per trasformarsi in disoccupati o sotto-occupati urbani.


La funzione di chi insegna è quella di rintracciare nessi, riannodare legami, svelare inganni: tale il motivo di questo progetto.


Bibliografia
E. Pastorio (a cura di), Storia Greca; M. A. Levi – D. Foraboschi, Storia Romana; R. Comba, L’età medioevale; B. Benasser, Il secolo d’oro spagnolo; R. Romeo, Il risorgimento in sicilia; Don L. Milani, A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca; T. Standage, Una storia del mondo in sei bicchieri; T. Standage, Una storia commestibile dell’umanità; R. Patel, I padroni del cibo

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LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA


Abbiamo imparato che il Sapere è uno spazio aperto, grande, senza chiusure e senza interruzioni: come una città. Abbiamo scoperto che anche il tempo nella Città della Conoscenza perde l’obbligo di scorrere sempre nello stesso modo: il passato perduto per sempre, attimi inafferrabili di presente e l’illusione di un futuro che quando arriva non c’è già più!
Nella Città della Conoscenza il passato non passa mai, dà senso al presente e si riflette nel futuro: non si perde niente della ricchezza di ciò che è stato.
Le vie di questa città sono disegnate dal cammino delle Idee e l’incontro tra Idee diverse, vicine o lontane, crea lo spazio per grandi piazze da cui partono molte altre strade.
All’inizio ci capitava di chiedere alla Prof: “ma stiamo facendo italiano o storia?” oppure di lamentarci durante qualche spiegazione: “ma questo è il programma dell’anno scorso!” o anche: “ma questo è dopo, il libro non arriva così avanti!” e perfino: “ma questo sul libro non c’è, lo dobbiamo sapere lo stesso?”
Le risposte della Prof erano sempre le stesse e ci sembravano incredibilmente strane:
“non c’è una vera distinzione fra materie: le divisioni cui siamo abituati possono esserci utili per organizzare il lavoro, ma non devono limitare il movimento del pensiero, insomma ci servono ma non ci obbligano”; “nella storia di quest’anno vive tutta la storia dell’anno scorso, la conoscenza del passato è uno strumento per la comprensione del presente”; “non esiste qualcosa che siate costretti a sapere, ma idee che dovete incontrare, così quando le incontrerete di nuovo saprete riconoscerle”.
Non si trattava certo di una cosa facile, e poi avevamo il pensiero delle verifiche, delle interrogazioni, della pagella e infine dell’esame, che cosa, alla fine, era davvero importante e che cosa no?!
“Fatevi guidare dall’interesse: le cose che vi sono piaciute di più sono le più importanti!” sembrava il rimedio peggiore del male: avevamo una confusione in testa!
Allora abbiamo deciso di fare un disegno: ciascuno di noi avrebbe rappresentato il percorso della propria idea preferita, però, tutti lo avrebbero fatto sullo stesso foglio. Appena finita l’abbiamo riconosciuta subito: era la mappa della Città della Conoscenza, la nostra Città della Conoscenza.
E c’erano strade e viali ampi e belli, e c’erano vicoli stretti e tortuosi, e c’erano piazze e incroci e larghi, e viste sul mare, e ponti su canali e parchi e giardini e fontane, e palazzi e monumenti, e piccole casette di periferia con un po’ di giardinetto, e...

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IL SUONO DELLA STORIA

Che cosa è la storia?
Possiamo dire che la storia sia il racconto di tutti i fatti accaduti nel passato.
Ma chi racconta la storia? E il narratore, è a sua volta parte di essa o semplicemente ne fornisce un resoconto restandone al di fuori?
La risposta che abbiamo dato a queste domande invece di portarci ad una conclusione ha aperto altre questioni:
a) tutto racconta la storia
b) ciascun evento narrante è anche storia stessa


Cerchiamo allora di fare un po’ di ordine.
In classe abbiamo individuato gli strumenti a nostra disposizione per la conoscenza e la comprensione della storia in:
a) fonti proprie
b) fonti improprie
c) fonti verosimili


I documenti, le cronache, le monografie tematiche, i manuali costituiscono le prime.
I film storici e in costume, i romanzi e le rappresentazioni teatrali con un’ambientazione diversa dal presente ci forniscono le ultime: pur non avendo valore scientifico e mancando di rigore, trasmettono atmosfere che fanno da sfondo ai dati acquisiti attraverso le prime, vivificandoli.
Ma quello che ci interessa davvero, perché oggetto di ricerca e non di ricezione passiva oltre le convenzionali barriere fra discipline, sono le fonti improprie: l’arte, la letteratura, la musica, l’architettura, il mito, il costume... la cui interpretazione porta a risultati rigorosi ma originali.
Nell’ascolto di questa folla di racconti incontriamo una storia in cui particolare e universale, singolo e società, soggettivo e oggettivo sono uniti in un’immediatezza fortemente espressiva.
Abbiamo scelto, per il nostro esperimento, di farci guidare dalla musica.
Insieme, confrontandoci, discutendo, proponendo e ascoltando, abbiamo costruito un percorso musicale che racconti gli ultimi due secoli della nostra storia. Con l’aiuto delle nostre insegnati di educazione musicale e di strumento (chirtarra e clarinetto) abbiamo creato una raccolta di brani e ne abbiamo persino suonati alcuni.
I periodi storici studiati si sono trasformati così in qualcosa di vivo facendo di noi dei narratori di quell’evento grandioso che è la storia, la nostra storia.

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CORSO G A INDIRIZZO LABORATORIALE
PROGETTO ZERO


Svolgere attività laboratoriali significa dare concretezza a nozioni teoriche, trasformare in esperienza dati altrimenti astratti, travalicando quei confini che, suddividendo il sapere, ‘inventano’ le diverse discipline.
Che la scrittura non origini da un’esigenza letteraria, bensì contabile: registrare le entrate e le uscite del tempio-granaio da parte del sacerdote-guardiano...
Che, dunque, numerazione e scrittura simboliche nascano contemporaneamente...
Che la letteratura si sia tramandata oralmente per millenni e che l’esigenza di fissare gli antichi poemi in opere scritte sia assai tardiva...
Che il ritmo, istintivo e proprio delle composizioni in versi, facilitasse la memorizzazione di brani molto lunghi...
Che questo spieghi perché la poesia nasca prima della prosa...
... non sono semplicemente dati di una storia ormai relegata nella programmazione didattica della scuola primaria, rappresentano piuttosto alcune delle chiavi interpretative di ogni storia, della possibilità stessa di fare storia.
Si impara (insegna) che siano stati i Sumeri a inventare la scrittura... poi si impara (insegna) che siano stati i Fenici a concepire e usare il primo alfabeto fonetico, da cui derivano tutti gli altri, tra cui il nostro: che meraviglia!
Che il destino delle scritture ideogrammatiche e di quelle fonetiche sia intrecciato e ricco di reciproci prestiti forse, però, non si comprende abbastanza e completamente, certo bello sarebbe sperimentarlo...
...nasce così, immaginato come inaugurazione della recente scelta di caratterizzarci in questo senso, il laboratorio Inventiamo un logo per ogni corso, svolto dalla I G con gli insegnanti di lettere, sostegno e tecnologia.